Sono tanti i disagi da stress causati dalla lunga quarantena. Come racconta a Panorama Massimo Di Giannantonio, presidente della Società italiana di Psichiatria. Credevano di uscire rinnovati e migliorati: abbiamo imparato a far lievitare il pane, a cucinare i panini bao e a meditare; a vestirci di tutto punto per le videoriunioni, a riordinare gli armadi e a fare la spesa solidale. E invece, poi, è arrivato il ritorno dell'onda: la tuta ha avuto il sopravvento, la sedia Stokke è sparita dalla scrivania, il reggiseno è rimasto nel cassetto e il lievito madre, dopo tanta ricerca tra i panettieri e gli appelli social, sta per morire nel frigorifero. Non sappiamo se siamo migliori o peggiori ma, senza dubbio, tre mesi di domiciliari non possono passare senza lasciare traccia nelle abitudini, lo sostengono tutti gli esperti e, a dire il vero, lo sappiamo anche noi.
Per ora, nella nostra Fase 3, per esempio, avere un appuntamento a metà mattina rischia di trasformarsi in un impegno che totalizza l'intera giornata; vedersi per l'aperitivo è ormai un'esigenza solo da fine settimana, in fondo il detox da Forno (Fear of missing out, la paura di essere tagliati fuori) è stato talmente metabolizzato che il piacere di stare a casa è salito al primo posto. Per non parlare della spesa, ormai programmatissima: non c'è bisogno di essere del Toro con ascendente Vergine per pianificare un bilanciamento equo tra cibi necessari e superflui, ormai siamo tutti diventati esperti dell'argomento. Insomma, stiamo bene a casa, a tal punto da non voler più uscire; siamo diventati pignoli e maniacali in fatto di cibo, stiamo volentieri diverse ore davanti al computer, indossando, magari, gli stessi vestiti da giorni e ci assale l'ansia se dobbiamo prendere un treno. Dell'aereo, poi, non ne parliamo. Piccole problematiche da stress psicologico che però si possono trasformare, in alcuni casi, nell'imminente fase quattro, in seri disturbi mentali. Perché, inutile girarci troppo intorno, la quarantena da Covid-19 lascerà strascichi in ciascuno di noi e, attenzione, in diversi segnerà un solco popolato di paure, ansie, angosce, fobie, traumi. Lo sostiene Mario Maj, direttore del dipartimento di Psichiatria dell'Università Vanvitelli di Napoli, che sulle pagine di World Psychiatry avverte: “In effetti, nel nostro Paese, le cliniche psichiatriche universitarie e i dipartimenti di salute mentale stanno affrontando un aumento cospicuo delle richieste. Da segnalare in particolare sono i quadri gravi di depressione, con vissuto di insopportabile preoccupazione per il futuro”. E lo ribadisce la Società Italiana di Psichiatria (SIP) che parla di “oltre 300 mila persone in più, rispetto alla 900 mila già a carico dei servizi di salute mentale di tutta l'Italia. Si tratta di persone che avranno bisogno di sostegno per gestire l'ansia post-traumatica per i lutti, le perdite, il danno economico e l'incertezza per il futuro”. Un aumento di un terzo di pazienti che, probabilmente, rischia di travolgere la rete di assistenza nazionale, non a caso è stato chiesto lo stanziamento immediato di 40 milioni di euro per l'assunzione di 800 psichiatri in più e la diffusione della telepsichiatria. Ma quali sono i disturbi da dopo lockdown più diffusi, tra quelli più o meno importanti? Come si manifestano? Che tipo di comportamenti inducono? Ne parliamo con Massimo Di Giannantonio, presidente della SIP, che parte da una precisazione: “Le conseguenze psicosociali del Covid si possono raggruppare in due grandi aree, quelle del disturbo delle ore diurne e quelle delle ore notturne. Questo perché la situazione di stress, di pericolo, di rischio ha come conseguenza, dal punto di vista neurobiologico, l'alterazione dei ritmi circadiani e l'aspetto neuroendrocrino. Alterando i ritmi di dormiveglia, aumenta il livello di stress diurno che comporta livelli di ansietà libera oppure psicosomatica. L'ansietà libera è legata all'incertezza, alla paura di un pericolo imminente, alla mancanza di sicurezza, di tranquillità, cioè a tutti quei sintomi che non riescono a essere mentalizzati; mentre l'ansietà psicosomatica porta con sé disturbi dell'alimentazione, dell'attenzione, del movimento, della digestione, come le gastralgie, quindi ha ripercussioni sul corpo. Naturalmente nei soggetti più deboli, già affetti da fragilità psicologiche, le conseguenze sono molto più gravi fino a raggiungere livelli di deviazione suicidaria. Ma questo è un altro aspetto che non può essere liquidato in poco tempo” Ora, senza insistere sulle criticità più acute, partiamo da un disturbo, a quanto pare, abbastanza diffuso visto che “colpisce un milione di italiani, spaventati dal ritorno alla normalità». È stato battezzato “sindrome della capanna” e coincide con “l'ansia di riprendere i ritmi precedenti e la paura di non adattarsi ai nuovi. È, in realtà, una reazione del tutto normale e comune anche per le persone psichicamente più equilibrate, conseguente all'eccezionalità della situazione, come già avvenuto dopo il crollo delle Torri Gemelle. Ma se il disagio si protrae più di tre settimane ed è acuito dall'incertezza verso il futuro, dalla preoccupazione per la situazione economica e la precarietà del lavoro, in un caso su tre aumenta il rischio di sviluppare, nel tempo, veri e propri disturbi mentali, come la depressione, gli attacchi di panico e disturbi dell'adattamento”. Sul versante opposto si ha la “sindrome da sequestro”, che implica il sentirsi privati ingiustamente delle proprie libertà e quindi induce a uscire in continuazione senza seguire le regole di sicurezza e senza rispettare i divieti cautelativi, a cominciare dal rifiuto della mascherina in pubblico. Altrettanto diffuso è il problema della “mancata elaborazione del lutto”: “Le persone colpite dalla morte di un familiare durante la quarantena non hanno avuto possibilità di realizzare tale perdita attraverso quei rituali che la propria cultura prevede come il funerale, le condoglianze, vicinanza di parenti e conoscenti,quindi potrebbero vivere conseguenze psicosociali invalidanti come effetto post traumatico da stress”. La mancata elaborazione del lutto potrebbe indurre anche al “disturbo da flash-back” ovvero all'affiorare ricorrente di ricordi negativi traumatici. Un disturbo che colpisce anche una buona percentuale di medici e operatori sanitari che sono impegnati in prima linea durante l’emergenza da coronavirus. O al contrario alla “sindrome da evitamento” che tende ad allontanare pensieri o sentimenti legati al trauma fino a negare l'evidenza ridicolizzarla. Perfino il tanto osannato smart working, se non gestito in maniera equilibrata, e soprattutto se non viene scelto ma imposto o effettuato in luogo non adatto alla concentrazione, nasconde ripercussioni che gli esperti individuano con la “sindrome burnout” che comporta delusione nei confronti di se stessi, sentimenti di inadeguatezza e repulsione verso il proprio lavoro.
“In alcuni casi, si tratta di una videofobia, cioè di un rifiuto della digitalizzazione e della subordinazione al lavoro telematico. E questa è una reazione a due cose: alla trasformazione e relazioni sociali da reali a virtuali all'impotenza da connessione che provoca una vera e propria nausea nei confronti di quella linea che va e viene mette a dura prova i nostri nervi”. Più bizzarra e, per fortuna, meno diffusa è la “sindrome da monarca assoluto”: quella del capo che, non avendo a che fare quotidianamente con i suoi sottoposti, soffre della mancanza di potere, spesso esercitato con le logiche del “bossing”, ovvero della molestia psicologica verticale. “Se l'esercizio di potere non è adulto, ma è un modo narcisisticamente prevalente, se si basa sull'autoreferenza e sull'istintualità primordiale, con lo smart working s'innesta un processo patologico di frustrazione, di limitazione e di insoddisfazioni che portano alla caduta della leadership e quindi dell'ego”.
La destrutturazione del quotidiano, quindi il cambiamento di abitudini e di ritualità acquisite, colpisce la psiche anche di bambini e di adolescenti che potrebbero manifestare segni di disagio e di regressione meglio noti come “disturbi da crollo della quotidianità”. “Quando viene meno il ritmo strutturato dell'uscita mattutina per andare a scuola, che rappresenta la fondamentale dimensione sociale dei bambini e dei ragazzi, manca la costruzione e la metabolizzazione di un mondo radicalmente trasformato i cui confini coincidono con le pareti di casa. Con conseguenti situazioni di disagio, apatia, depressione o ipercinetismo”.
E poi non poteva mancare la “misofobia o sindrome di Pilato”, sì proprio colui che se ne lavò le mani. È una fobia pertinente al timore dello sporco, che un po' tutti ancora proviamo.
In ogni caso: “È importante affrontare le proprie paure e, se necessario, rivolgersi allo specialista se ansia, frustrazione, insonnia e irascibilità non sono temporanee. Si tratta di disturbi noti, per i quali esistono trattamenti concreti e di comprovata efficacia che possono migliorare la qualità di vita, la forza di ripresa e la capacità di tornare a scommettere su se stessi” conclude lo psichiatra di Giannantonio. “Perché non c'è salute senza salute mentale”.

Panorama - Antonella Matarrese - 1 luglio 2020

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