dic
2019
L’esplorazione spaziale
Dimenticate la retorica, l’enfasi, la narrazione ufficiale. La conquista del cosmo è stata (anche) un trionfo di imprevisti, fallimenti, figuracce... Lo racconta, con affettuosa ironia, il libro dell’astronomo Luca Perri...
Della missione Apollo 11, con cui ci prendemmo la Luna e ce la portammo a casa, esistono innumerevoli e splendide foto, riproposte a ogni buona occasione. Ci mancherebbe. Non è che tutti i giorni una specie evoluta di qualche pianetino decolla, parcheggia sul proprio satellite e torna indietro. Sul suolo lunare fanno bella mostra di sé la bandiera americana, l'orma di Neil Amstrong e la targa che celebra l'evento: “Qui uomini del pianeta Terra fecero il primo passo sulla Luna 1969 d.C. Siamo venuti in pace per tutta l’umanità”. Altri souvenir meno gloriosi delle nostre imprese lunari, offerti alla vista di un ipotetico alieno,sarebbero scarponi e zaini, pezzi di equipaggiamento, lattine per il cibo, palline da golf. E contenitori di cacca e pipì: nel linguaggio tecnico dalla Nasa, “defecation collecting device” e “urine collection assemly, small and large”.
In questo scarto fra cosmica retorica e prosaica realtà si inserisce il libro Partenze a razzo di Luca Perri, astrofisico e astronomo all’Osservatorio di Merate e del Planetario di Milano. Non per sfottere i sogni stellari, in fondo anche lui avrebbe voluto fare l’astronauta “ma non avrebbe mai accettato un ragazzo daltonico e grassottello, abituato a passare le sue giornate a mangiare schifezze”, ma proprio per amore. Raccontando gli uomini dietro “gli eroi”, gli imprevisti dietro i successi, e le cazzate al netto delle imprese geniali, rievoca la storia delle esplorazione spaziale in 224 pagine di puro divertimento.
Dove, peraltro, si imparano un sacco di cose. Per esempio che i primi astronauti furono, il 20 febbraio 1947, un team di moscerini della frutta, inviati dalla base di White Sands a bordo di un razzo requisito in Germania: “Nato come arma, quel giorno permise a degli insettini fastidiosi di osservare per primi la Terra dello spazio con i loro occhioni compositi”. Contrariamente a tutti gli altri animali che furono poi inviati in orbita, i moscerini sopravvissero al ritorno a Terra, pur senza apprezzare l’impresa.
Quattordici anni dopo, messi da parte insetti, topi, cani e scimmie, la specie umana si decise al grande balzo. Con il disappunto degli americani (siamo in guerra fredda), il primo a essere proiettato nello spazio è il russo Jurij Gagarin. Ha 27 anni e, legato dentro il razzo Oriente, è pronto all’ignoto. Racconta Perri che quella mattina Jurij si concede una colazione con carne trita, marmellata di more e champagne (gusti sovietici), lascia un autografo sulla porta della camera dell’hotel, si fa tagliare i capelli, fa fermare l’autobus che lo porta a Baikonur per fare pipì sulla ruota posteriore. “Tutti quei gesti, dal taglio di capelli alla pipì sulla ruota, diventarono un rito scaramantico obbligatorio per tutti i cosmonauti e astronauti dell’odierna Soyuz”.
Una volta lassù, Gagarin vede la Terra dall’alto ed esclama: “la Terra è blù, che meraviglia!”. Pare abbia detto anche che era bellissima, senza frontiere né confini, ma l’Unione sovietica non fece mai trapelare quel messaggio di benevola fratellanza. Fra la madre Russa e l’odiata America le barriere devono restare salde. Il ritorno è adrenalinico: avvicinandosi a Terra la navicella si scalda e l’atmosfera crea fiamme sul rivestimento termico. E’ normale, ma Gagarin è convinto che la sua ora sia giunta. “Sto bruciando, addio compagni!” è il suo eroico e laconico messaggio. Non arde ma atterra incolume. “Atterra” è un termine eufemistico, tuttavia. “I sovietici, pur di battere gli americani sul tempo,non progettano un vero sistema di atterraggio per le navette e lanciano i piloti fuori dall’abitacolo”. Gagarin finisce proiettato in un campo, spaventando a morte due contadine e un vitello.
Sul fronte degli imprevisti, tra la vita, la morte e la figuraccia planetaria, anche gli Stati Uniti vantano un buon curriculum: Nel 1962 i cervelloni della Nasa fecero così male i calcoli per il rientro del pilota Malcolm Carpenter, reduce dalla missione Mercury-Atlas, che lo sventurato finì nell'oceano Atlantico a oltre 300 chilometri dalla nave base. Lo recuperarono dopo ore.
Nella gloriosa missione Apollo 11, dopo aver passeggiato sulla Luna, i tre astronauti scoprirono che sul board di comando, pannello 16 fila 2, mancava un tasto fondamentale, quello del controllo di stabilità. Al suo posto c'era un buco, l'aletta di plastica era sparita. Buzz Aldrin si accorse di avere in tasca un pennarello, che non avrebbe neppure dovuto avere, secondo le rigide norme. Infilò il tappo nel pannello elettronico e riuscì a far partire l'interruttore. Aldrin conserverà quel pennarello per tutta la vita.
Jake Garn, senatore statunitense nonché astronauta, nel 1985 girò 108 volte intorno alla Terra nella missione Shuttle Discovery. Un professionista del volo. Peccato che scoprì di soffrire così tanto di nausea da passare quelle 167 ore a vomitare. Il martirio gli valse la nomea di campione insuperato di nausea cosmica, tanto che la Nasa gli dedicò un Centro di addestramento degli astronauti e diede il suo nome alla scala di classificazione del mal di spazio, il cui picco, mai più raggiunto, è 1-Garn.
Se pensate che gli inconvenienti siano limitati al passato, ecco, no. Luca Parmitano, a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss), si appresta nel 2013 a essere il primo italiano a compiere una passeggiata in orbita. Sarà indimenticabile, anche perché il preparato anti-annebbiamento gli finisce negli occhi. Poi il casco si riempie di liquido refrigerante che si attacca alle orecchie e al naso. Rischia di annegare dentro la tuta. Da Houston arriva un ottimo consiglio: “Niente panico. Rientrate”. Parmitano, temporaneamente “cieco e sordo, ricordando a memoria la strada e respirando male con la bocca, riesce a tornare nella Stazione”.
Non che la vita dentro gli abitacoli, navette, shuttle o basi spaziali, sia semplice. Il 28 dicembre 1973 a bordo della Skylab 4 scoppia il primo (finora unico) sciopero in orbita: i tre astronauti si ribellano a ritmi di lavoro di 16 ore, senza riposi né momenti liberi. Spengono le comunicazioni radio e si prendono una giornata di vacanza. Alla Nasa si infurentiscono, poi gli passa.
Oggi i ritmi sono meno tirannici. Ma alcune difficoltà oggettive restano. Andare in bagno e centrare l'obiettivo in assenza di gravità, per esempio, pone sfide inedite. In microgravità, tutto svolazza. Tutto. I primi tempi, quando le missioni duravano poco, la Nasa aveva risolto con un “indumento di massima assorbenza”. In parole semplici, un pannolone. Soluzione presto insufficiente. “Nelle missioni Gemini e Apollo” si legge a pagina 73, “l'urina si raccoglie in un sacchetto collegato a un tubicino e poi scaricata nello spazio, creando una nube scintillante che l'astronauta Wally Schirra chiamerà "la costellazione di Orinone”. Oggi negli Shuttle c'è un bagno, e la toilette ha un aspiratore che raccoglie i liquidi e li ricicla per renderli potabili. Il 93 per cento dell'acqua utilizzata proviene da lì. “Gli astronauti ci scherzano su: "si trasforma il caffè di ieri nel caffè di domani"”.
Dall'allunaggio di 50 anni fa alla futura conquista di Marte, di errori ne faremo sempre meno, o no? “In effetti la corsa nello spazio fu compiuta in fretta, spesso con mezzi di fortuna e facendo correre agli astronauti rischi terribili” risponde Perri. “L'Apollo 11, per esempio, aveva il 50 per cento di possibilità, oggi inaccettabile. Detto questo, l'esplorazione spaziale sarà sempre costellata di imprevisti, al di là dei toni trionfali, pure comprensibili. A ogni missione si alza il livello di tecnologia, con un forte rischio legato alla novità”.
L'ambizioso lander europeo Schiaparelli, per esempio, che nel 2016 doveva atterrare su Marte, si frantumò al suolo a 154 chilometri orari. “Lo ribattezzarono subito Schiantarelli” ricorda Perri. “Oggi la gara per lo spazio è anche fra privati, perché è l'ambito di investimento più redditizio al mondo. Torna così la corsa alla Luna, da parte di americani, europei, russi, cinesi”.
Sulla Luna però ci siamo andati tante volte, ormai è uno scherzo... “Un conto era fare qualche saltello, ora ci andremo per mesi. Abbiamo appena scoperto, poi, che le radiazioni sul suolo lunare sono assai maggiori del previsto, e il problema della protezione è enorme. Insomma, le incognite sono parecchie”. Sapendo (e raccontando) tutto ciò, in orbita lei ci andrebbe ancora? “Anche domani. Tanti dicono che i soldi nello spazio sono sprecati, con tutto quello che c'è da fare sulla Terra. Ma è un'obiezione inutile, la voglia di esplorare ce l'abbiamo nel Dna. Perché siano andati sulla Luna? Beh, perché era lì”.
Panorama - Daniela Mattalia - 30 ottobre 2019
