Segnali di vita su Marte. Sinora era un tema da fantascienza. Quasi da visionari, alla Stanley Kubrick, che nel 1968 (un anno prima dell’allunaggio di Neil Armstrong) diresse 2001 Odissea nello spazio. Ma adesso, proprio dal pianeta rosso arrivano segnali che potrebbero portare ad una conferma scientifica. Mercoledì scorso, infatti, il rover Curiosity della Nasa ha rilevato grandi quantità di metano nell’aria di Marte. Il metano è un gas che sulla Terra è solitamente prodotto da organismi viventi. Da qui l’ipotesi che sul pianeta marziano ci siano microorganismi che rilasciano metano. Una scoperta che potrebbe accelerare anche i piani per portare i primi astronauti su Marte. E qui ritorna in ballo quanto immaginato proprio 51 anni fa da Stanley Kubrick nella pietra miliare della cinematografia fantascientifica. Nel viaggio, immaginato dal regista, verso Giove a bordo dell’astronave Discovery One tre dei cinque atronauti sono in stato di ibernazione. Una soluzione, quest’ultima, ipotizzata anche dalla Nasa che ha finanziato dei progetti specifici.
«È un fenomeno che esiste in natura, negli animali che d’inverno vanno nel torpore profondo e rallentano il metabolismo», spiega Debora Angeloni, che insegna biologia molecolare alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, dove è anche responsabile scientifica del primo corso di Biologia spaziale mai organizzato in Italia. «Per l’uomo – racconta la docente – si tratterrà di cercare di ottenere una sorta di sonno profondo, perché un equipaggio che dorme non mangia, non produce rifiuti, non genera conflitti causati dallo stare insieme in ambienti confinati». Sebbene, mette le mani avanti la professoressa Angeloni «la fisiologia umana è ancora largamente di intralcio e gli studi sono ancora in fase iniziale». Ma per la medicina spaziale, sicuramente, l’ibernazione rappresenta più che una sfida. E per la verità neanche l’unica. Tra le emergenze mediche «bisognerà capire chiaramente come – aggiunge Angeloni – proteggere gli astronauti dagli effetti della microgravità (perdita di massa ossea e muscolare)». Gli astronauti, durante il volo spaziale, evidenzia la ricercatrice, «sperimentano un modello di invecchiamento accelerato ma reversibile, perché quando tornano a Terra fanno fisioterapia e recuperano».
Un altro problema in orbita è l’allungamento della colonna vertebrale, con mal di schiena durante il volo e il rischio di ernie quando si torna a Terra. «Ci sono tute in sperimentazione anche sulla Stazione Spaziale – afferma – per comprimere la colonna vertebrale e impedirne l’allungamento». Anche la circolazione del sangue risente degli effetti della microgravità. Proprio per questo la professoressa Angeloni è l’ideatrice di un esperimento che ha portato 5 milioni di cellule umane, che rivestono i vasi sanguigni, sulla Stazione Spaziale. «Abbiamo visto – racconta – che il volo spaziale ha un effetto importante su queste cellule, che cambiano nella forma, e di conseguenza sono meno performanti». Ma lo sviluppo della ricerca sta stando risultati positivi su come superare tutte queste difficoltà. E, così, il viaggio immaginato da Kubrick appare sempre più reale.


QN Il Giorno - Il Resto Del Carlino - La Nazione - Tommaso Strambi - 24 giugno 2019

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