Lo scrittore Luca Doninelli ha fatto di una dieta straordinaria un ascolto della propria fisicità, la presa di coscienza di quanto la «fame» di cibo stravolga la vita. Ne è nato un libro per condividere questo percorso. E a Panorama anticipa il rapporto col suo nuovo «compagno di viaggio».

Quando mi peso e vedo la bilancia oscillare intorno ai 90 chili, che sono pur sempre un peso ragguardevole, non mi sembra vero. Adesso posso correre per prendere un autobus, posso saltare di gioia (quando capita), posso incrociare le braccia e accavallare le gambe, e quando cammino o sto in piedi provo un piacere che la mia memoria precedente aveva cancellato. Perfino respirare è più bello. Perché io pesavo 140 chili.
Chi non ha vissuto nel proprio corpo un'esperienza simile non può capire bene come ci si sente. Può farsene, al massimo, una nozione astratta. Scendere da 140 a 90 chili è stato come arrivare sulla Terra da un altro pianeta, e io ho cercato di raccontare com'è questo pianeta che voi non conoscete, dove grazie al cielo non siete mai stati, e dirvi come è il paesaggio, come sono fatte le sue città, e in generale che vita di m.... si fa da quelle parti.
Devo a Elisabetta Sgarbi l'idea di tenere una specie di diario, di memoir, su quanto accadeva al mio corpo durante questa avventura. Ne è uscito un libro, La dieta sono io, nel quale cerco di rispondere a tre domande semplici:
- come ho fatto, e come può fare in generale un individuo sano di mente, ad arrivare a 140 chili? Come può permettere che accada una cosa del genere?
- come mai, dopo tanti tentativi di dieta andati a vuoto, uno di questi è andato a buon fine? Perché questo sì e gli altri no? È dipeso dal tipo di dieta, dalla simpatia del dietologo o da qualcos'altro?
- tenuto conto che ricadere in un vizio è più facile che caderci per la prima volta, cosa intendo fare realisticamente perché il mio corpo non torni alle dimensioni di tre, quattro, cinque anni fa?
La nostra civiltà non tiene il corpo in grande considerazione. Comincia a studiarlo quando si ammala o quando è morto. Può farne un mito (come nella scultura antica e medievale, o come nelle icone della moda e dello sport) ma si sa che mito e mercato sono parenti stretti, e fare del corpo un'icona non significa attribuirgli una vera dignità culturale. Il pregiudizio greco, platonico e aristotelico, resta.
Invece il corpo ha tante cose da raccontare, può trasformarsi in un nemico ma anche nel nostro migliore amico: bisogna solo ascoltarlo. E un percorso di dieta il cui obiettivo è perdere 50 chili è un'ottima occasione per farlo. Anche perché, se non si fa questa fatica, dimagrire può risultare un'impresa impossibile.
Poiché il libro si è costruito registrando i segnali che il mio corpo mi inviava man mano che i chili scendevano, farne un vero riassunto non avrebbe senso. Posso però dire alcune cose che mi sembra di avere capito durante il mio percorso.
1) Premesso, come dicono tutti (ed è verissimo) che l'obesità nella sua forma grave è una malattia che nasce da una dipendenza patologica (come la droga, l'alcolismo ecc.), va osservato che questo aumento delle dimensioni del corpo ha la sua radice più profonda in un bisogno di far sparire il corpo.
2) Le ragioni di questo bisogno di sparire sono personali. Nella vita di noi tutti c'è almeno un problema con il quale non riusciamo a fare i conti, e dal quale non sappiamo fare altro che fuggire. Qualcuno esprime questa fuga mangiando. lo ho cercato di raccontare quello che è accaduto a me, non per stabilire una norma ma solo per mostrare una via possibile.
3) Se, però, il cibo può diventare una droga, è bene ricordare che, spesso, chi è drogato è anche spacciatore. Il disordine alimentare contagia chi sta intorno, producendo le premesse di una vita un po' più infelice del necessario.
4) Ecco un punto cruciale. Comunque si giunga all'obesità, essa si configura come un disturbo bipolare, che comprende fasi depressive e fasi compulsive. Molte volte mi sono messo a dieta senza successo, finché mi sono reso conto che i miei tentativi di dimagrire facevano parte essi stessi del mio disturbo. Giungere a questa consapevolezza è l'inizio della guarigione.
5) Diventa essenziale imparare a distinguere i segnali che ci vengono dall'interno del nostro disturbo da quelli che ci vengono dal di fuori. A questi ultimi ho dato il nome poetico di finestrelle: varchi che si aprono nella nostra coscienza quotidiana attraverso cui possiamo guadagnare un punto di vista su noi stessi esterno ai disturbo stesso. Nel libro spendo diverse pagine cercando di spiegare la differenza tra un segnale che ci viene da «dentro» e uno che ci viene da «fuori».
6) Una volta compreso questo, perdere 50 chili è difficile, ma non difficilissimo. Ridurre per il teatro “I miserabili” da 1.900 pagine alle 80 del copione è stato, credetemi, molto più complicato.
7) Occorre tenere a mente che le fasi cosiddette «di mantenimento» sono le più ardue, perché non si tratta più di seguire le istruzioni del dietologo, ma di agire discrezionalmente.
8) Una volta persi 50 chili, per non riguadagnarli più ho dovuto tener presente che: il corpo è più intelligente della testa. La testa è quella di prima, vuole dolci, gelati, cibi ipercalorici, sogna di strafogarsi nelle salse più oscene, vuole intingere il pane nell'olio del tonno e nella broda dei cannellini in scatola. La testa è fetida. Il corpo, viceversa, una volta intesa la lezione, non ama più queste cose e ce lo fa capire molto chiaramente;
- la virtù non può sconfiggere il vizio. Bisogna assumere nuovi vizi, scegliendoli con cura. Essere un po' più vanitosi, collezionare cravatte o penne stilografiche, viaggiare, dedicarsi alla musica, fare più sesso (dimagrire è gratificante in questo, per diverse ragioni), e così via;
- occorre liberarsi di qualche fantasma, perché sono i fantasmi che ci fanno ingrassare. Dimagrendo mi sono accorto di detestare persone che credevo di amare. Individuare la persona giusta da mandare a quel paese - non a voce alta, ma dentro di sè, è più definitivo - è di grande aiuto;
- mangiar bene non fa ingrassare. Se l'eccesso di trasmissioni tv sulla cucina ci tedia, ricordiamoci che un grande chef non fomenta vizi. La nostra è la prima epoca della storia in cui i ricchi sono (mediamente) più magri dei poveri. Esiste tutta un'industria, enorme e variegata, che prospera spacciando pessime abitudini alimentari. Purtroppo il cibo di cattiva qualità ha una forza: quella di anestetizzarci.
Dobbiamo ribellarci a tutte le anestesie alimentari. In tutti noi ciccioni la ribellione scatta, di tanto in tanto. Occorre sostenerla. “La dieta sono io” vuole essere un aiuto a sostenere i buoni propositi affinché, come dice il proverbio, non finiscano per lastricare la strada dell'inferno.


Panorama - Maurizio Tortorella - 6 marzo 2019

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